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Le tradizioni marocchine

  • Immagine del redattore: Antonio Pilogallo
    Antonio Pilogallo
  • 31 ott 2017
  • Tempo di lettura: 6 min

Parlare di tradizioni mi viene sempre un po’ difficile perché non sono mai sicuro di averne una comprensione sufficiente a poterle descrivere senza essere superficiale o troppo ‘occidentale’ nei giudizi.

Un giudizio, in realtà, è l’ultima cosa che mi interessa dare. Però alcune cose vanno troppo raccontate e pazienza se certe sensazioni non saranno state politicamente corrette.

La festa del/al montone

Forse il rito più conosciuto del mondo islamico, la festa al montone i marocchini la fanno come la fece Abramo, per ringraziare il fatto che Dio gli avesse fatto risparmiare la vita del figlio. L’anno scorso mi trovavo a Marrakesh e avevo desiderio di vederla. Tuttavia, dapprima non riuscimmo a trovare qualcuno che ci lasciò assistere e dopo, quando finalmente venimmo invitati ad entrare nel cortile di qualcuno che stava scaricando gli animali dall’auto proprio in quel momento, le grida delle pecore tutt’intorno unite all’espressione ormai rassegnata di una delle vittime portate al macello, mi fecero cambiare idea.

Quest’anno, nel giorno - per me non particolarmente sacro - dell’Aid avevo scelto di lavorare per recuperare un giorno di vacanza da spendere a Natale. Mi stavo dirigendo a piedi verso l’ufficio in un venerdì mattina stranamente silenzioso, quando lo vidi. Nel portone di un palazzo a pochi metri da me, un montone era circondato da 3 uomini chini su di lui. Senza avere veramente il tempo di decidere se guardare o meno, vidi come uno dei tre eseguì la sgozzatura mentre gli altri due accompagnavano a terra il corpo morente dell’animale, fra zampillii di un rosso scuro e fumante.

Quando l’uomo - coltello alla mano, camice sporco di sangue, barbone minaccioso e sguardo truce - si voltò e mi vide lì in piedi ad osservarli, l’imbarazzo fu grande.

Ne uscii con un “Pace a voi” timido e forse un po’ interrogativo, che si risolse in un grande sorriso da parte dei tre e un “AltrettanDo!”*, mente le gambe dell’animale ancora tremavano e la chiazza rossa stava già raggiungendo il marciapiede.

Quel giorno, rientrando dopo il lavoro, imprecai al trovare una scia di sangue nelle scale del palazzo e le finestre della cucina e del salone aperte. La casa avrebbe puzzato di pecora arrostita per la settimana a seguire.

Il digiuno del Ramadan

Di questa tradizione mi ha sempre colpito il fatto che moltissime delle persone che normalmente non rispettano gli altri principi religiosi dell’Islam ci tenessero invece tantissimo a rispettare quella del digiuno, e ne parlassero come si parla di una festa.

Il perché l’ho capito grazie a una mia amica cinese (!) che, considerandolo parte della sua esperienza marocchina, ha fatto il digiuno insieme a tutti gli altri. Vedendo lei, avevo deciso di provarci anche io. Non tutto il mese, ma solo un giorno: il giorno in cui il digiuno viene alla fine rotto insieme con tutti i colleghi dell’ufficio.

Così, un giorno della terza settimana di Ramadam, decido di non fare colazione, non prendere il caffè ed andare in ufficio come sempre. Verso le 10 stavo già soffrendo miserabilmente, soprattutto la sete. La cosa peggiore è che non avevo nessuno con cui condividere questa sofferenza perché i miei colleghi erano già fisicamente abituati a tutto ciò, dopo quasi 20 giorni di Ramadam.

Alle 10.01 ho rotto il digiuno con una tazza d’acqua e un pacchetto di Oreo mangiati di nascosto in cucina, mentre pensavo che forse con un minimo di empatia e supporto sarei potuto andare avanti per tutta la giornata.

Mentre resistevo alla tentazione di dare la colpa agli altri, ho pensato che forse la cosa bella del Ramadan sta lì: il fatto di fare questo sforzo tutti insieme deve creare una sorta di forte legame sociale positivo, come quando si supera una disavventura insieme, che non è necessariamente legato a qualche significato religioso (ma che è sicuramente rafforzato nel caso in cui gli si aggiunga anche questo tipo di valenza).

Zemzem

Una domenica mattina di qualche settimana fa, stavo prendendo il caffè affacciato alla finestra della cucina. Un gruppo di ragazzini stava facendo un gran casino lanciandosi gavettoni d’acqua con bottiglie e secchi, importunando passanti a piedi o in auto. Fra le varie cose, li ho anche visti accerchiare una ragazza e la sua sorellina, e stavo per chiamare aiuto quando poi la cosa si è fortunatamente risolta con un nulla di fatto.

La scena era preoccupante ma non particolarmente sorprendente, considerando che:

- di gruppi di teppistelli abbandonati a loro stessi ne sono purtroppo piene le città marocchine, e

- nella stradina sotto casa mia di zuffe più o meno grandi ne succedono in continuazione.

Quella domenica sarei dovuto andare a pranzo con una mia amica ma lei, poco prima dell’ora stabilita, mi scrive un messaggio per disdire l’appuntamento. Il motivo era che quella domenica era il giorno di Zemzem e quindi lei non se la sentiva di uscire di casa. Le chiesi cosa fosse lo Zemzem e lei, senza girarci troppo intorno, mi disse che si trattava di una tradizione marocchina in cui i ragazzini andavano in giro a bagnare le persone e rompere le automobili per strada.

Una tradizione per giustificare un giorno all’anno di vandalismo?! Questo si, era sorprendente!

Funerali

Mi è capitato spesso a Casablanca di vedere spuntare da un giorno all’altro grandi tendoni nel bel mezzo della strada, chiusi su tre lati e aperti solo in direzione del palazzo al quale sono attaccati. Quando muore qualcuno, infatti, la famiglia si occupa di creare lo spazio per permettere a chi volesse di pregare per il defunto, innalzando un tendone per gli uomini e uno per le donne, affittando un invidiabile impianto audio e convocando qualcuno per guidare la preghiera.

La tradizione, che potrebbe sembrare simile alle nostre veglie funebri, ha invece qualcosa di fortemente pittoresco nella “prepotenza” con cui questi tendoni vengono innalzati nel bel mezzo della strada, anche chiudendola al traffico di veicoli, e nel volume degli altoparlanti dai quali la litania funebre viene cantata per 2 o 3 giorni di fila, fino a tarda notte.

Il rito si può compiere anche solo in casa, avendo comunque ben cura di predisporre un’amplificazione sufficiente e di lasciare la porta di casa aperta: in questo modo si ha la certezza di creare la giusta atmosfera anche negli altri appartamenti del palazzo, specie se qualcun altro avesse invece avuto l’idea di organizzare una cena romantica. Per dire.

Maturità / Matrimoni

Siccome nella mia stradina ne succedono di tutte, mi è già capitato di assistere a celebrazioni tradizionali anche di momenti felici.

Per esempio, una volta credo che un ragazzo avesse appena compiuto 18 anni. Gli è stato fatto indossare un costume simile a un pigiama a righe e rimanere in mezzo alla strada mentre una piccola banda di fiati e percussioni richiamava l’attenzione di tutto il vicinato, una coppia di ballerini in abiti tradizionali lo circondavano con il proprio mantello e si esibivano in mosse alla Batman, e tutta la famiglia faceva a turno per farsi le foto insieme.

Un’altra volta credo che una ragazza del mio palazzo stesse andandosi a sposare, e anche lì sobrietà a palate in mezzo alla strada, concluse con una partenza precipitosa su un furgoncino in stile A-team…

Quando si parla di tradizioni marocchine, la mia fonte preferita è Latifa, la padrona di casa. Latifa è una simpatica donna di mezza età, bassina e sempre con indosso l’hijab – il comune velo con cui chi vuole può coprirsi collo e capelli.

E’ una signora tradizionale, fortemente religiosa eppure in qualche modo aperta alle diversità e, parzialmente, al cambiamento. Meriterebbe un capitolo del blog solo lei.

Per esempio, una volta mi ha detto di volere comprare un cane per i figli, perché è convinta che avere cura di un animale li aiuterebbe a responsabilizzarsi e blablabla. Tuttavia, secondo l’Islam, avere un cane in casa tiene lontani gli angeli buoni. Così, lei lo tiene sul terrazzo..

Riguardo alle tradizioni, è stata Latifa che mi ha spiegato le origini dello Zemzem, dicendomi che risalgono alla storia in cui Hajar, moglie di Abramo, grazie a Dio trova l’acqua nel deserto e salva la sua famiglia. A tal proposito, quando le chiesi il legame con le auto rotte ed il vandalismo, fermamente mi rispose che quella non è tradizione, ma maleducazione e inciviltà di alcuni. Stesse cause e stessa fermezza con cui condannò l’episodio del sangue nelle scale, il giorno dell’Aid, o con cui condanna altri fatti associati all’Islam.

Sempre Latifa ha tentato di spiegarmi l’importanza per alcuni di condividere certi momenti come un funerale o un matrimonio, si è indignata quando le ho mostrato un video che ho fatto su una delle tante risse avvenute sotto casa (vedi foto), e si è felicitata con me per l’opportunità di conoscere meglio la loro cultura una volta che sarò in Egitto.

In quest’ultimo caso, deve pure aver letto nel mio sorriso imbarazzato una certa forma di apprensione, e si è fatta una grossa risata. “Non ti preoccupare” mi ha detto, riferendosi alle mie possibilità di integrarmi, “Ti scambieranno per arabo anche lì!”.

*Liberamente tradotto in potentino

 
 
 

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