Marrakesh
- Antonio Pilogallo
- 2 ott 2017
- Tempo di lettura: 5 min

Nella città da cui viene il nome “Marocco” ci ero già stato almeno 7-8 volte, ma sempre con finalità precise: gite aziendali, sole e piscina nei mesi invernali (io posso), soste per la notte in viaggi più lunghi, etc. Come turista in senso stretto, però, non c’ero mai andato. L’occasione arriva quando mio cugino viene a trascorrere una settimana di vacanza da me.
Marrakesh ha quasi 1000 anni di storia, è stata un importante snodo commerciale per arabi, europei e berberi, e anche la capitale del paese (sultanato all’epoca) prima che il sultano di Fez la conquistasse. Oggi è decisamente la capitale del turismo - quel tipo di turismo, però, che mette ferocemente gli interessi dello straniero davanti alla cultura e alla tradizione locale – ed è chiamata la Las Vegas d’Africa.
Turismo doveva essere e turismo è stato: dopo neppure 100 metri all’interno della medina avevamo già comprato cartoline, calamite, cucchiaini, camicie, borse e astucci di pelle, dolci alle mandorle e al pistacchio, olive, thé e infusi, etc (avevamo già cominciato nei giorni precedenti ed avremmo continuato nei giorni a seguire, nelle altre città visitate). Avevamo già fotografato e filmato tutto: architetture, serpenti, scimmie, pasticcerie e negozietti, giochi di luce, cactus, musulmani barbuti e belle ragazze.
Avevamo già annusato (!) tutto: un marocchino con un grembiule bianco e un marcato accento trevigiano ci ha accolto nella sua erboristeria e fatto provare diversi odori per tisane. Poi ha preso qualcosa simile al carboncino, l'ha avvolto in una garza sterile e strofinato sul palmo della sua mano per attivarlo, diceva lui. Quindi ce l'ha fatto annusare una narice per volta, dicendo che era buona per il raffreddore e aiutava a non russare. L'ha chiamata Nige Lassativa, un nome che non combinava molto con gli effetti benefici attesi*, ed ha avuto l'effetto di un cazzotto forte, dritto nel mio naso e cervello.
Avevamo anche già elargito a destra ed a manca i primi sorrisi imbarazzati ai negozianti troppo insistenti, ed anche i primi vaffanculo.
La prima sera siamo stati al casinò. Si vedeva lontano un miglio che non avremmo puntato una lira e quindi nessuno ci ha cagato – fatta eccezione per quando facevamo qualcosa di inappropriato come spiare e commentare i giocatori di poker a due passi dal loro tavolo.
La seconda sera siamo andati in un pub carino, con musica dal vivo, postazione dj su un ascensore interno (!) e 4 ballerine straniere di 1.80 che si dimenavano nelle pause e sembravano uscite da un film sulla mafia russa.
In generale, gli stimoli visivi, uditivi ed olfattivi che ricevi la notte sono molto diversi da quelli che ricevi il giorno!
Un pomeriggio, nella medina, veniamo intercettati da un ragazzo che ci sente parlare italiano. Ci dice che siamo fortunatissimi, perché proprio oggi è l’ultimo giorno per assistere al mercato berbero, dato che il giorno dopo i vari commercianti sarebbero tornati definitivamente nelle montagne, e che ci dobbiamo assolutamente andare. Già altri ci avevano accennato a questa incredibile fortuna – che poi abbiamo scoperto toccare, in realtà, a tutti i turisti almeno una volta a settimana. Insomma, un normale mercato settimanale…
Per la cronaca, questo ragazzo ci verrà poi segnalato come ‘da evitare’ in quando piddì – che significa omosessuale o forse addirittura prostituto per uomini. Comunque, alla fine, l’unico in tutta Marrakesh che non ci ha chiesto soldi.
Insomma, manco il tempo di decidere se cogliere questa fortunatissima coincidenza, che il ragazzo ferma al volo un suo “amico” accompagnatore che si offre di scortarci lì senza chiedere nulla in cambio (in principio). L’accompagnatore, guarda caso, pure parla italiano.
Grazie alla sua guida fra il districato labirinto di vicoli, arriviamo a quella che è una conceria di pelli di animali, che ci viene presentata come cooperativa - parola che intendiamo subito vendere di più. All’ingresso ci attende un terzo signore: parla italiano pure lui e ci porge giusto i 2 rametti di menta che servono, a me e mio cugino, da tenere sotto il naso durante la visita e contrastare gli altri odori.
La parte principale della conceria è composta da una serie di pozzi dove le pelli vengono tenute a mollo e trattate con vari ingredienti tradizionali, fra cui sale, farina e cacca di piccione - dovevo farlo sapere a tutti gli amanti del cuoio!
Il signore ci spiega che, da generazioni, un centinaio di famiglie arabe ci lavora le pelli piccole (capre e montoni) e una ventina di famiglie berbere ci lavora le pelli grandi (buoi e cammelli).
Alla fine della visita, veniamo ovviamente trascinati in un negozio di prodotti finiti dove un vecchio fa finta di martellare una pelle già pronta, mentre tutti gli altri sono commessi venditori. Decidiamo di comprare un astuccio in pelle a testa, come ricompensa per la visita e per aiutare la cooperativa. Ingenui.
All’uscita dal negozio il signore della conceria ci aspetta per chiedere la sua parte per il tour. Poi è il turno dell’accompagnatore che ci chiede una mancia e ci lascia con indicazioni sommarie per la via del ritorno quando capisce che non avrebbe preso un dhiram. A quel punto già non vediamo l’ora di tornare al nostro BnB, che è dall’altra parte della medina, e ce la facciamo quasi gambe in spalla per paura che l’accompagnatore non decidesse di chiamare un paio di amici e venirsi a prendere comunque la sua mancia.
La rapida sequenza in cui siamo stati catapultati dalle mani di un piddì che parla italiano alle mani di un accompagnatore che parla italiano, alle mani di un lavoratore della conceria che parla italiano e che ha già pronti due rametti di menta, alle mani di un commesso venditore che parla spagnolo (quasi italiano!) ha fatto gridare mio cugino al complotto - come se fossimo finiti fra gli ingranaggi di una macchina di vendita ben oliata e diffusa in tutta la grande medina di Kesh. Il dubbio permane.
Il giorno dopo ci disintossichiamo un poco partendo per un’escursione sulle vicine montagne di Ourika. Ci ritroviamo in gruppo misto di italiani, americani, francesi e inglesi, fra cui una signora ipovedente ed alcuni altri alquanto sovrappeso. Data l’età ed il peso medio dei partecipanti, mi preparo a una passeggiata tranquilla. E invece quella si rivela quasi un’arrampicata per andare a visitare una gelida cascata, respirare un po’ d’aria fresca e pranzare con i piedi nel fiume. Molto bello finalmente, anche se vedevamo il cerchio dei partecipanti restringersi ad ogni nuova difficoltà.
Quello stesso pomeriggio, recuperati infortunati e fuori forma vari, saremmo poi tornati a Marrakesh prima e Casablanca poi.
L’impressione che mi diede Marrakesh le prime volte che ci andai è che qui da una parte devi negoziare tutto, comprese pace e tranquillità, dall’altra puoi comprare tutto, comprese pace e tranquillità! Il primo è il caso di tutti, il secondo di chi può e vuole permetterselo.
Così, tanto per dire che d’ora in poi ci andrò probabilmente solo per il sole d’inverno (giacché io posso), per spiare quelli che giocano a poker e poco altro.
*nome vero poi sarebbe stato: Nigella Sativa. E si usa davvero in erboristeria.
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