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Alle porte del Sahara

  • Immagine del redattore: Antonio Pilogallo
    Antonio Pilogallo
  • 24 gen 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

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Poco prima di andare in vacanza per Natale mi sono preso una vacanza di 4 giorni per rifare una vacanza nel deserto - cosa che avevo già fatto in una precedente vacanza in Namibia.*

Insieme a due amici e un’altra 30ina di persone partiamo per Merzouga, una delle due entrate marocchine del deserto del Sahara. Niente avventura entusiasmante, è stato piuttosto un viaggio turistico, di quelli “tutto organizzato”.

Di fatti, due ore prima della partenza mi chiama gentilmente l’organizzatore per suggerirmi di portarmi una coperta, non tanto per il deserto, quanto per il viaggio in sé. Quello che si scorda di dirmi è che nel minibus non funziona l’aria condizionata e così, nelle oltre nove ore di viaggio notturno per le montagne marocchine, la copertina rubata sull’aereo serve a poco. Quando ci fermiamo per colazione io sono già febbricitante.

Dopo aver visitato mausoleo di Moulay Ali Cherif, il primo re del Marocco, arriviamo nel pomeriggio a Merzouga - a pochi chilometri dall’Algeria. Tanto per cambiare, per strada prendiamo alcuni thé alla menta, serviti prima in una tenda berbera da una silenziosa vecchietta, poi all’ostello dal proprietario tunisino, il quale ci impone urlando la regola del ‘prima le donne’.

Mollati gli zaini, ci aspettano i dromedari per fare l’escursione e, inchallah, vedere il tramonto da sopra le dune. Ci si muove in gruppi da 3 animali legati in colonna e condotti da un Tuareg. L’organizzazione è più faticosa del previsto. Mentre alcuni come me sono già in groppa, un dromedario nervoso comincia a litigare con un suo pari e tenta poi di mordere il povero ragazzo indiano che lo montava. Lui, per evitarlo, si lascia cadere dall’altro lato e scappa via impaurito. A quel punto il nervosismo si diffonde rapidamente tra i dromedari e alcuni altri cominciano a correre, prima che i domatori li facciano tranquillizzare.

Guardo il domatore della mia mini-carovana, un bambino di 8 anni al massimo, e mi chiedo cosa potrebbe fare lui se fosse uno dei nostri animali a sclerare.

Una volta sulle dune, i rappresentanti della antica e affascinante tribù Tuareg si offrono di farci le foto coi loro cellulari e inviarcele poi su whazzup. La mia amica ha accettato e secondo me, oltre ad improbabili foto con un lago (!) nel deserto che nessuno di noi altri ha visto, sta ricevendo ancora oggi i selfie del bel Tuareg ricciolino in cerca di moglie.

Cavalcare un dromedario in cima alla sua gobba, o meglio alla curva della sua spina dorsale, è scomodo. Nonostante la spessa sella e gli strati di coperte. E’ scomodo.

Inoltre, fra l’effetto maretta e la febbre che ormai avevo, mi son veramente sentito come un infelice mozzo di sabbia dolce.

La sera passa mangiando, bevendo thé alla menta e sopportando il pirotecnico proprietario urlatore. Dormiamo in tenda. Al mattino, verso le 5, veniamo svegliati dalla classica chiamata alla preghiera. Veramente non mi aspettavo di trovare una moschea nel deserto.

E infatti non c’era. La voce strillante dell’Imam proveniva dallo smartphone nella tenda affianco alla nostra - in particolare dall’applicazione sincronizzata con le fasi lunari o chissà cosa, che richiama alla preghiera i fedeli che la scaricano e la installano.

Il mattino successivo, per par condicio, ci è sembrato doveroso fargli sentire a tutto volume l’Alleluja cantata da Bocelli.

Lungo il cammino, facciamo anche altre soste:

- la stupenda Ouarzazate, dove hanno girato il Gladiatore, Game of Thrones e tanti altri;

- una gola;

- un mercato;

- un negozio di chincaglierie, dove hanno provato a venderci oggetti di ogni tipo spacciandoli per interessanti e pieni di significato;

- un negozio di cosmetici a base di rosa, di quelle coltivate nella famosa ‘valle delle rose’, che era sicuramente più interessante da visitare del negozio di Jigglypuff.

Abbiamo pure fatto una jam session di percussioni in un altro negozio dove alla fine, per sfinimento, due nacchere arrugginite me le son pure comprate.

Niente avventura entusiasmante, insomma. Una vacanza, appunto.

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*Tanto l’avreste letta comunque così.

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