Ilha de Moçambique
- Antonio Pilogallo
- 21 mar 2016
- Tempo di lettura: 4 min

(segue) Una piccolissima isola ad un paio di km dalla costa e collegata ad essa da un ponte inspiegabilmente stretto, Isola di Mozambico dovrebbe essere una destinazione obbligatoria per chi visita il Mozambico. Certo, raggiungerla non è facilissimo, dal momento che ci vogliono 2 ore di volo (o 40 di autobus, come nel mio caso) da Maputo fino a Nampula, e poi circa 100 km di chapa.
Viaggiare in chapa è orribile. Un minivan scassatissimo con 15 posti a sedere che non parte per la sua destinazione se prima non riescono a entrare quasi il doppio delle persone con rispettivi polli, pesci, patate, etc; il cui conducente guida più rapido possibile per sperare di scaricare e prendere su il maggior numero possibile di clienti per strada; dove vieni bombardato tutto il tempo con musica elettronica che manco le peggiori discoteche de Riccione; il bersaglio preferito della polizia locale, alla quale i conducenti neppure fanno più controllare documenti e tutto il resto - che tanto si vede da lontano che non c’è più neppure un bullone a norma di legge in tutto il veicolo -, pagando direttamente il rinfresco per non perdere tempo.
Ma quando, dopo circa 3 ore in questo stato, intravedi l’isola lì davanti a te, baciata dal sole e circondata dalla chiara acqua dell’Indiano, sembra improvvisamente tutto acqua passata.
E invece no, perché è lì che succede l’imprevisto. Proprio alla fermata dello chapa un ragazzo, sgasando da fermo con la sua moto per impressionare chissà chi, si dimentica la marcia inserita, perde il controllo del veicolo e butta giù 3 o 4 persone come birilli. Si rompe il braccio cadendo, rompe il naso a una signora e ne ferisce anche una seconda, scatena le grida e il panico di una popolazione normalmente annoiata. Convince lo chapa a caricarlo insieme agli altri feriti e portarlo al centro sanitario più vicino. Convince addirittura lo chapa a tornare indietro a caricare la sua moto e portargliela alla sua casa del villaggio, per non lasciarla alla merce dei ladri.
E tu sei lì, che dopo 40 ore di bus e 3 di chapa, vedi l’isola paradisiaca in lontananza e lo chapa che abbandona la strada che ti ci condurrebbe per una secondaria che va all’ospedale, e poi ritorna sul luogo del delitto a caricare una moto (!), e poi si riperde nel villaggio.. e cominci a pensare che a Ilha non ci arriverai mai. Per fortuna, sbagliandoti.
Nonostante la posizione decentrata, questo piccolo fazzoletto di terra è stata a lungo la capitale del paese durante il tempo coloniale. Per questo motivo, Ilha de Moçambique assomiglia a un delizioso ma decadente villaggio portoghese, ma con la particolarità che ogni vicolo sfocia nell’oceano indiano..!
Mi sistemo nel lodge di Gabriele, un ragazzo italiano arrivato ad Ilha 16 anni fa con l’aspettativa di rimanerci per sei mesi e che invece ha finito per innamorarsi del suo mare, dei suoi vicoli, delle persone gentili e buone che ci vivono, del fatto che sia l’unico posto del paese dove puoi passeggiare tranquillamente la notte, distraendoti a guardare il cielo stellato e correndo l’unico rischio di scontrarti con dei bambini che giocano a pallone. Facile, estremamente facile comprendere le sue ragioni.
In giro per l’isola conosco Begas e Tina, che sarebbero stati i miei amici e guide per il tempo trascorso lì. Lui, studioso di storia che mi svela tutti i segreti del palazzo del governatore, della vecchia fortezza portoghese, della prima moschea costruita in Mozambico, della Cappella de Nossa Senhora do Baluarte – attualmente edificio più antico esistente nell’Africa Subsahariana. Lei, originaria di Angoche che mi porta a conoscere il versante sud, la città di paglia e lamiere dove erano (e sono) relegati i mozambicani dell’isola, includendo la visita al cimitero* dove però lei rifiuta di entrare per scaramanzia.
Un giorno, alcuni pescatori tirano su dall’oceano un serpente marino di oltre 2 metri. Se ne discute in tutta l’isola e mi sembra di capire che un evento di questo genere sia letto come un cattivo segno, per via di una superstizione appartenente alla religione che qui vige. Incuriosito, mi dirigo verso il punto del ripescaggio, arrivandovi tuttavia tardi. Nello sgomento generale, mi raccontano di come un uomo originario di Quelimane avesse appena preso per sé l’animale, con l’intenzione di prepararlo ‘alla Zambesiana’, alla faccia di chi dice che i mozambicani mancano di fantasia in cucina.
Durante la mia permanenza di 4 giorni visito alcune spiagge mozzafiato, includendo alcune sul lato continentale e altre su alcune isolette nel circondario, raggiunte rigorosamente in barca a vela. Mangio mozambicano, portoghese e italiano. Vengo tentato dallo scoprire di come il proprietario di quest’ultimo ristorante stia pensando di cedere la sua attività, con l’intento di trasferirsi. In verità, ripensandoci varie volte da allora.
Il giorno della ripartenza, mentre carico i bagagli in fretta e furia, mi scuso con Gabriele per non aver trovato più tempo per parlare con lui, per conoscere la sua storia. Opportunità e cambiamenti repentini come quello che lui affrontò quando scelse di rimanere mi affascinano, facendomi però sudare le mani e tremare le gambe quando cominciano a essere veramente concrete. Un misto tra adrenalina e cacarella, con effetti a lungo termine sul mio cuore e il mio intestino.
*tradizione di famiglia..
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