Ponta de Ouro (pt1)
- Antonio Pilogallo
- 30 dic 2014
- Tempo di lettura: 3 min
Col secondo finesettimana di Novembre (!!), in occasione di una festività caduta di lunedì, abbiamo approfittato per un’altra escursione. La meta è stata una località marina chiamata Punta di Oro, estremo sud del paese e praticamente al confine con il Sudafrica, ma dal lato oceano.
Sapendo che la strada sarebbe stata dura, attrezziamo il fuoristrada con scorte di acqua, una corda robusta per trainare o essere trainati, il serbatoio pieno di carburante, e altri indispensabili accorgimenti come una tovaglietta di gomma per non far scivolare le birre dal cruscotto.
Per arrivare a Punta bisogna innanzitutto superare la baia di Maputo, e ci sono due alternative: attraversare la baia, con una traversata di circa 15 minuti sul traghetto; aggirare la baia, passando per Boane (ca 50 km a sud di Maputo) e poi trovando il sentiero giusto fino a destinazione. Scegliamo la prima opzione, ma sul traghetto ci vanno al massimo 7 / 8 mezzi e davanti a noi c’è una fila di almeno 300 metri di auto. Inganniamo l’attesa di quasi 3 ore con birre, patatine e risate fra amici.
Arriviamo sull’altra sponda che è quasi buio e, dal momento che l’indicazione per arrivare a Punta era ‘seguite i pali della corrente’, ci mettiamo subito in cammino.
La prima parte di strada è durissima: uno sterrato cosparso di sassi giganti e buche a sorpresa. Parto con l’idea di schivarne qualcuna, ma dopo aver rischiato di perdere il controllo del mezzo per il troppo zigzagare mi rassegno agli scossoni, compiangendo le sospensioni del land rover.
La visibilità è limitatissima, a causa della polvere alzata dalle auto che ci precedono. Attraversiamo una riserva di elefanti, riconoscendone i ricordoni sulla via. Il costante tremolìo durante il viaggio mi fa pentire della birra bevuta in precedenza, ma l’idea di fermarci per andare in bagno è ancora meno apprezzabile.
La seconda parte di strada è un reticolo di viuzze di sabbia che s’intersecano, si allontanano, si inseguono e si ritrovano in ordine sparso. Le auto scese dal traghetto sono ormai sparpagliate in mezzo al buio totale di una bella notte stellata. Sul cruscotto lampeggia, ormai da un po’, un indicatore mai visto prima.
Si procede a una velocità massima di 20Km/h. Nell’accingerci ad affrontare un grosso curvone a sinistra in 2a, rimaniamo improvvisamente insabbiati e il motore si spegne. Giro la chiave per riaccendere, ma l’auto non da alcun segno di vita. Ecco cosa voleva dire quella spia luminosa rossa..
“E mo?” ci chiediamo. Apriamo il vano motore, e armati di cellulari col flash scendiamo per dare un’occhiata: tutto molto bello, davvero un bel motore.
“E mo?” ci richiediamo. Insabbiati, con l’auto in panne, nel mezzo di una riserva di elefanti (che, come sappiamo, non sono proprio gli animali più simpatici del mondo). Approfitto della pausa per andare a dar sollievo alla mia vescica, ed è così che mi trova la coppia di portoghesi che aveva casualmente scelto il nostro stesso sentiero di sabbia.
L’esperienza del marito ci suggerisce di controllare i connettori della batteria e, in effetti, uno dei due era saltato a causa degli scossoni accusati nella prima parte di strada. Lo ricolleghiamo martellando con un cacciavite e subito i fari dell’auto si riaccendono, dandoci speranze di continuare per la strada. Con la trazione integrale poi, venire fuori dal banco di sabbia è la parte più facile e, accodandoci al fuoristrada dei tuga, raggiungiamo Punta di Oro giusto poco dopo che chiudevano le cucine del lodge..
(continua)
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