Inhambane
- Antonio Pilogallo
- 22 set 2014
- Tempo di lettura: 4 min
Quante volte abbiamo pensato “che sfiga, quest’anno il Primo Maggio [o il 2 Giugno, o il 6 Gennaio, etc..] viene di domenica, manco un giorno di vacanza quest’anno!” ? In Mozambico hanno risolto il problema in questo modo: quando una festività coincide con un sabato o una domenica viene reso festivo un altro giorno della settimana, ad esempio il venerdì, o il lunedì successivo. E’ il cosiddetto ‘giorno di tolleranza’ ed ho impiegato 8 mesi a capire cosa fosse: quando ti danno un giorno di ferie in più, meglio non fare troppe domande..
Comunque. Approfittando di un lunedì di tolleranza e di un venerdì pomeriggio di ferie, abbiamo organizzato un viaggetto a Inhambane, località a 500 km a nord di Maputo, dove si trovano alcune delle spiagge più famose del paese, dal punto di vista turistico. Uno di quei viaggi in auto in cui sai quando parti e non sai quando arrivi: da 7 ore al massimo che doveva durare ne abbiamo impiegate più di 10, e meno male che la guardia ha trovato da bere fino alle 2 di notte, altrimenti non l’avremmo manco trovata sveglia.
Nelle fantastiche spiagge di Tofo, Tofinho e La Barra, si incontrano turisti che si dilettano nei più comuni passatempi del luogo: surf, snorkeling, safari marini, immersioni. Qui conosciamo Rob, aitante ragazzo spagnolo dai capelli biondi, che parla perfettamente italiano (oltre a portoghese, inglese, e chissà che altro), proprietario di un lodge che affaccia direttamente sull’oceano e istruttore di diving. Lo incontriamo sulla spiaggia, mentre porta a passeggio i suoi 6 cani, in un momento di relax. Non è che ci siamo raccontati chissà ché, ma io lo metterei comunque fra quegli incontri che fanno riflettere.
Comunque. Rob ci esorta a provare il surf. Dopotutto non sembra così difficile, quando vediamo ‘sti ragazzini di 14 anni che vanno un po’ al largo, aspettano l’onda, saltano in piedi sulla tavola e si lasciano trasportare. Pieni di umiltà, ci limitiamo a provare il bodyboarding, una cosa tipo il surf, dove invece di salire in piedi sulla tavola di ci stendi sopra di pancia.
Leghiamo a fatica la tavola al polso, andiamo a fatica al largo, ci disponiamo strategicamente in modo da seguire la direzione dell’onda, ci stendiamo speranzosi sulla tavola e aspettiamo che la corrente ci faccia sognare… Ma niente. Personalmente faccio diversi tentativi e, quando alla fine ci riesco, non mi rendo conto di essere così vicino al bagnasciuga che la tavola si pianta nella sabbia lasciandomi volare oltre. Quasi la fine dello struzzo, che dolore..
Comunque. La casetta dove alloggiamo affaccia anch’essa direttamente sull’oceano. Così, la mattina prima di andare in spiaggia, o la sera prima del tramonto, possiamo assistere alla spettacolare migrazione delle balene verso nord. Seppure in lontananza, se ne vedono a decine, a volte accompagnate da qualche delfino. Così, decidiamo di fare a nostra volta il safari marino, in altre parole un giro in barca finalizzato ad avvistare la fauna locale.
La preparazione al safari è di tipo militare. Riceviamo occhialini, pinne, boccaglio e guai a dimenticarci quali sono i nostri. Riceviamo istruzioni prima di partire: vietato tuffarsi vicini alle balene, che un colpo di coda può generare una specie di tsunami; vietato tuffarsi da soli; vietato temporeggiare al momento del tuffo, per non ritardare gli altri; in caso di presenza di squalo balena, vietato spaventarsi anche se dovesse venire incontro a bocca spalancata, che tanto sono solo curiosi e poi non hanno manco i denti; vietato toccare gli animali; vietato fare mosse strane che possano irritarli, nel qual caso “Voçe ja era!”* - il che vuole dire che, in tal caso, si potrà parlare già al passato di chi ha fatto tali mosse.
Il safari è poi tutto uno scrutare le acque: inizialmente fra falsi allarmi e lamentele da parte di portoghesi che pretendevano un minimo garantito di avvistamenti. In seguito, tutto un ‘wooow’ quando passano due delfini a gran velocità sotto il gommone, quando una tartaruga valuta se le conviene restare a galla ad essere osservata così da vicino - e decide di no -, quando senti un ‘puff’ e poi ci accorgiamo di avere a pochi metri una balena enorme che nuota con suo figlio affianco.
Poi viene avvistato uno squalo balena, il pesce più raro da queste parti, e torna l’atmosfera militare. “Ok. State pronti. Adesso andiamo sotto. Pinne, maschere e boccaglio. Al mio tre ci tuffiamo: uno… due…”. Eccitazione e adrenalina a palla.
Piccola digressione: era per me la seconda immersione con maschera e boccaglio. La prima fatta da un gommone in pieno oceano.
“..tre!!!”. Determinati e con una chiara visione del nostro obiettivo, in pieno stile film americano, ci lasciamo cadere all’indietro dal gommone. All’impatto, la maschera viene via, bocca e boccaglio si riempiono d’acqua. La stanchezza dopo oltre un’ora e mezza di viaggio in gommone rende le gambe e le braccia pesanti, nonostante le pinne aiutino. Il gommone si allontana, per non disturbare l’animale. Fra maschere e onde, non si distingue più a quale gruppo appartieni.
Morale della favola: passo 5 minuti a raccapezzarmi, tentando di rimettermi la maschera,
di individuare gli altri, di localizzare la zona dove era stato avvistato lo squalo e, soprattutto, di rimanere a galla. Al ritorno sul gommone, c’è una certa indifferenza reciproca, come se nessuno volesse ammettere di non aver visto una cippa.
Alla fine, in un gruppo di 16 persone, saranno state in 3 o 4 al massimo ad aver avvistato lo squalo balena. Era piccolo, dicevano, 3-4 metri al massimo. Nuotava un po’ atipicamente in profondità, dicevano, e stranamente non ha interagito molto, forse perché cucciolo.
La cosa positiva è che almeno è possibile continuare a parlare di me al presente..!
*letteralmente: “Lei ormai era!”
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