Escursione a Marracuene
- Antonio Pilogallo
- 5 mar 2014
- Tempo di lettura: 3 min
Insomma, siamo andati a fare ‘sto sopralluogo a Marracuene. A dirla tutta, ci siamo andati anche una seconda volta ma, per farvela breve, racconto come se fosse stato un viaggio solo.
Marracuene è un ridente villaggio poco a nord di Maputo. Situata su un’altura da cui si domina il fiume Incomati, è un passaggio obbligato per chi è diretto alla turistica zona di Macaneda o chi, come noi, si spinge un po’ oltre. Partiamo vestiti ed equipaggiati in pieno spirito avventura: pantaloni lunghi, scarpe da passeggio, borsa termica e pacco di Oreo.
Premetto, rincuorando alcuni di voi e deludendone la (maggior?) parte rimanente: niente coccodrilli e/o ippopotami. “Ma no, al massimo qualche cobra lì sul fiume”, mi rincuora la guida del posto, scatenandomi la tipica ansia incosciente da fotografia.
Percorriamo su una chiatta i 120 metri scarsi che ci separano dall’altra sponda, chi rimasto in auto con l’aria condizionata accesa, chi pestando i piedi all’altro negli unici due metri quadrati d’ombra. Non sono le 9 e 30 del mattino, ed il sole già picchia duro.
Dopo il fiume, la strada comincia a farsi pesante. Tratti sterrati e pieni di buche si alternano a tratti di sabbia dorata e a distese di fango e terra. Una striscia di terra di circa 100 metri sembra particolarmente ostica, interamente fangosa e costellata da pozzanghere di profondità indefinibile. Ciononostante, la guida è sicura di sé: passiamo! Mentre nella mia mente immagino finali improbabili, parte la prima auto: slitta a destra, affonda a sinistra, guada ancora un po’ e riesce ad arrivare fino in fondo. Tocca a noi.
Sempre in pieno spirito avventura, decidiamo di scendere in due dal pick-up e controllare meglio la strada, per accertarci di quali siano i punti assolutamente da evitare. Percorriamo tutti i cento metri di fango in punta di piedi, ben attenti a non sporcarci più del necessario e prendendo nota mentale dei punti critici lungo tutto il percorso. Torniamo indietro fiduciosi, facendo spavaldamente segno all’autista di farsi avanti. Trazione integrale: innescata! Prima marcia ridotta: inserita! Profonda accelerata a vuoto per ostentare baldanza: effettuata! Via: splash! Metri percorsi: 3! Forse manco quelli, ma non c'è modo di andare avanti.
Dopo una certa attesa, una certa quantità di fango sui vestiti e un certo numero di imprecazioni, riusciamo a tirare fuori il mezzo infangato, trascinandolo via con un trattore miracolosamente recuperato nei paraggi. Intrapresa una strada alternativa, proseguiamo relativamente tranquilli per sentieri appena accennati e costeggiando villaggi tirati su a paglia e fango. La gente del posto ci guarda sempre un po’ sorpresa, ma risponde cordialmente a ogni cenno di saluto. Niente animali feroci, se si esclude lo stupore per un insetto terribilmente grande ed appuntito, che poi si è rivelato essere un colibrì.
Al termine del sopralluogo, effettuato sotto un sole ormai cocente, ci dirigiamo verso la spiaggia. Il passaggio naturale fra le dune con il suo sbocco diretto sull’oceano ha qualcosa di fiabesco. Mai vista una distesa di sabbia bianca e così incontaminata a perdita d’occhio. Branchi di granchi rosa scorrazzano amabilmente sul bagnasciuga, ancorandosi alla sabbia per non farsi trascinare via dalle onde più forti e lasciandosene poi trascinare solo quando mi faccio vicino per una foto. Timidoni.
Resistere alla tentazione di mollare tutto e lanciarsi in acqua è stata senza dubbio la prova più dura della giornata. Superata quella, riprendiamo la strada in senso inverso, con l’intenzione di far tappa in un ristorante del posto. Situato su una lingua di terra compresa fra il fiume ed il mare, ci mettiamo all’ombra a sfogliare il menu: pollo alla zambesiana, gamberoni, pesce rosso.. Pesce rosso?! Con la mente agli animali domestici della boccia di vetro sul mobile in cucina, ci lanciamo un’occhiata perplessa, divorati da rilevanti questioni etiche: date le dimensioni, quanti bisognerà mangiarne per saziarsi??*
* per la cronaca, il pesce ‘vermelho’ si è poi rivelato essere tutt’altro pesce, di dimensioni fortunatamente differenti.
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