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Toubkal pt.1

  • Immagine del redattore: Antonio Pilogallo
    Antonio Pilogallo
  • 22 ago 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Sulla carta, essendo nato e cresciuto a Potenza, io dovrei essere una specie di montanaro abituato a scorazzare su salite e gradinate appese, dotato di quadricipiti e polpacci di ferro.

Tuttavia, da quando non vivo più in Basilicata, il livello di altitudine della mia dimora è andato man mano diminuendo e quando, qualche mese fa, stavo pensando a dove trasferirmi mi son reso conto che la presenza del mare sarebbe stata una condizione quasi imprescindibile per la mia futura residenza.

Così, quando mi ritrovo a trascinarmi sulle pendici di Toubkal, la più alta montagna di tutto il nord Africa, mi rendo conto di quanto lontani siano i giorni in cui andavo allegramente su e giù per Rione Mancusi o lungo la salita di San Giovanni. E mi ritrovo a pentirmi di non aver organizzato invece una due giorni di spiaggia e mare, come si faceva di solito in Mozambico.

Il primo errore, per così dire, è stato quello di proporre l’escursione ad Hamza, un collega fissato per l’allenamento e il benessere fisico. In realtà, avrei dovuto già insospettirmi quando gli ho presentato l’idea di una scalata di oltre 15 kilometri e lui ha commentato con un “E’ un ottimo esercizio!”. Hamza coinvolgerà poi anche Tarek, un suo amico ingegnere la cui vita parigina lo ha reso possibilmente meno in forma di me.

Hamza e Tarek sono agli opposti in termini di organizzazione. Il primo scarica da un blog una lista di cose utili e se le procura tutte: bastoni da passeggio per tutti, frutta secca, crema per lenire il dolore ai muscoli, integratori alimentari, pomata per le labbra secche, etc. Il secondo si avvia dimenticandosi i calzini e con un solo paio di scarpe dalla suola liscia e per di più senza lacci. In compenso, fra lo stretto necessario, porta con sé un leggerissimo barattolo di vetro da 700 grammi di olive e una bottiglia di salsa barbecue in cui presto scopriamo esserci dello Jagermeister camuffato. Geniale.

Il mio equipaggiamento consiste di un K-way sponsorizzato da una ditta dove lavorava mio padre, qualche pillola per l’asma e un burro cacao ritrovato per caso in tasca dopo il viaggio in Namibia dell’anno prima.

La scarpinata parte da Imlil, simpatico paesino fra le montagne (1.700 mt di altitudine circa) a un’ora da Marrakesh. Hamza ha già fatto la stessa escursione in inverno e ci svela che ci vogliono 4h30 per raggiungere il rifugio o, come dice lui, “circa 20.000 passi” - mostrandoci al contempo il suo conta-passi, altro aggeggio di fondamentale importanza.

La salita sembra non finire mai, gli zaini sulle spalle pesano da morì. Decidiamo di liberarci di più peso possibile e così, a metà strada, ci siamo già bevuti quasi tutta l’acqua e mangiati un’ignobile quantità di olive.

L’arrampicata è stressante anche da un punto di vista emozionale, specie quando si chiede ‘quanto manca?’ a chi sta già tornando dalla montagna: si passa dall’euforia (“mah*, circa mezz’ora..”) -> alla disillusione diverse mezz’ore dopo -> alla disperazione più nera (“mah*, diverse ore..”).

28.000 passi dopo e pochi minuti prima che diventasse tutto buio, raggiungiamo il rifugio (3.200 mt circa). Il vecchietto che lo gestisce ci accoglie e ci con un sarcastico “ça va?” a cui non ho manco la forza di rispondere. Una doccia calda e una semplice ma buona cena, però, ci tirano su.

Il rifugio è composto praticamente da grandi camerate dotate di letti a castello comunitari, senza lenzuola ma con imprescindibili copertoni di lana. Nella nostra, su 26 posti letto disponibili, avremmo dormito solo noi e.. un topolino di montagna, che vien fuori da sotto il cuscino che prendo per raddoppiare il mio, salta sul mio materasso e scompare poi in un angolo in penombra.

Dopo aver valutato la possibilità di addormentarci lo stesso, tanto eravamo stanchi, optiamo invece per chiamare il nipote del gestore, il quale prontamente salta con gli scarponi sul letto e, imbracciato un cuscino come una clava, lo usa per cercare di mettere a dormire definitivamente anche il topolino.

Cambiamo stanza, beviamo un po’ di salsa barbecue per riscaldarci, e ci mettiamo a dormire – fissando la sveglia alle 6h00 del giorno dopo.

(continua)

*mah: parola di origine araba che significa ‘non ne ho la più pallida idea, ma mi fai pena e qualcosa te la devo pur dire’.

 
 
 

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